Il ritorno all'estraneo

Il ritorno all'estraneo

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Oggi che l’avversione per l’insicurezza si va sempre più concentrando su una categoria selezionata di estranei (quella dell’immigrato, del nomade, del senza fissa dimora, delle persone di etnia diversa) nella speranza, priva di fondamento, che il loro allontanamento risolva i problemi della contingenza e instauri l’ideale di regolarità a lungo sognato, le parole di questo testo suonano più che mai attuali. Nel comportamento degli estranei, ci dice Bauman, c’è sempre un elemento di sorpresa e di imprevedibilità. Questo scarto è un territorio ambivalente: è al contempo luogo di pericolo e di libertà, di attrazione e repulsione che si sorreggono e si nutrono a vicenda, si coniugano nel bene e nel male.

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Sull'autore

Zygmunt Bauman

(Poznań, 1925 – Leeds, 2017) Filosofo e sociologo polacco di origini ebraiche, si è formato all’Università di Varsavia e alla London School of Economics. Nel 1968 ha perso la cattedra a Varsavia a causa della ripresa dell’antisemitismo e dei conflitti interni che allora infiammavano la Polonia. Rifugiatosi dapprima in Israele, ha in seguito insegnato Sociologia all’Università di Leeds in Gran Bretagna a partire dal 1971, dove è rimasto sino alla morte (9 gennaio 2017). Si è guadagnato una fama internazionale grazie alle ricerche sui rapporti fra modernità e totalitarismo. Castelvecchi ha pubblicato Scrivere il futuro (2016), Meglio essere felici e La libertà (2017), Le nuove povertà, Gli si diceva… Varsavia 1968, Socialismo. Utopia attiva e La vita in frammenti (2018).

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