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Pubblicata nel 1968, Passi è una raccolta di racconti legati da un filo sottile e quasi invisibile. Storie di dominazione, alienazione, controllo sociale, sottomissione al potere; reminescenze, aneddotti e dialoghi che la critica ha spesso interpretato come il riflesso letterario delle difficoltà esistenziali e materiali di Kosinski, che era stato prima un polacco sotto il regime sovietico e poi un immigrato americano alle prese con i “curiosi codici del capitalismo”. Scritto in una prosa che sorprese pubblico e commentatori per la forza e l’originalità dello stile, Passi subì un vero e proprio boicottaggio da parte di alcuni critici che ne stigmatizzano l’erotismo esplicito e la violenza brutale di alcuni frammenti. Eppure, malgrado questo e nonostante l’iniziale flop commerciale, il libro vinse l’anno seguente il prestigioso National Book Award, e la critica, al netto dei puritani, gli riconobbe la grana del capolavoro. Hugh Kenner, il celebre recensore del “New York Times”, accostò il libro all’opera di Louis-Ferdinand Céline e di Franz Kafka; David Foster Wallace lo elevò subito al livello dei classici, e ancora oggi, a quasi cinquant’anni di distanza, rileggendolo, si ha netta l’impressione di essere di fronte a una tra le più misteriose e inimitabili opere d’arte del Novecento.

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