One too many mornings

One too many mornings

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Quarant’anni dopo lo scandaloso Groupie, Jenny Fabian torna sulle sue memorie di “pupa della band”, “consolatrice di artisti” o “starfucker” che dir si voglia. Oggi, costumata sessantenne, la scrittrice inglese con un turbolento passato da autentica groupie concepisce un nuovo “romanzo a chiave” raffinato e maturo, certamente più meditato e profondo del suo scabroso predecessore. Come in Groupie, anche in One too many mornings (espressione idiomatica per “un altro giorno è passato”, ma soprattutto titolo di una celebre canzone di Bob Dylan) i personaggi reali si celano sotto nomi fittizi, in un gioco di ambiguità e chiaroscuri che intriga e coinvolge dalla prima all’ultima pagina. Se Ben è Syd Barrett, come ormai noto, chi sarà Theo? E Gisela? E Pentron? Ma non c’è altro modo per scoprire le vere identità di Maxwell McKewan, Shultz e Billy che arrivare in fondo alla storia, quando si sarà consumato un altro di quei baccanali di sesso, droga e rock’n’roll che solo negli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta si potevano sperimentare. One too many mornings lambisce i bordi di quell’epoca estrema e irripetibile, quando l’amore libero si avviava al crepuscolo e non restavano che macerie, rimpianti e oblio. Un romanzo di accecante bellezza, pieno di euforia e di decadenza, tutto in una vita, tutto in una storia.

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