Tra il 1967 e il 1968, Manlio Cancogni diresse la prestigiosa “Fiera Letteraria” portando con sé un drappello di giovani e meno giovani scrittori e critici (tra questi ricordiamo Cesare Garboli e Cesare Brandi) e, soprattutto, il proprio inimitabile spirito acuto e corrosivo. In questo anno e mezzo, oltre alle numerose e celebri inchieste e interviste firmate a proprio nome, Cancogni, sotto lo pseudonimo di Carpendras, ritagliò per sé uno spazio finale sulle pagine della rivista, uno spazio dal quale discutere, in assoluta libertà e come suo solito lontano da ogni gabbia ideologica, lo stato dell’Italia, dei suoi vizi e delle sue abitudini, dei suoi tic culturali e delle sue fobie. Così, numero dopo numero, Carpendras affrontava temi come la protesta giovanile, l’impopolarità dei capi di Stato, le vacanze degli italiani, il rapporto tra politica e intellettuali, il finto rivoluzionarismo del 1968, il corporativismo nazionale, la crisi della politica, la poesia del dribbling, il Giro d’Italia, il confronto tra vecchi e giovani. Ora, finalmente, Così parlo Carpendras raccoglie, su idea dello stesso Cancogni, tutte le prose pubblicate sulla “Fiera Letteraria”, comprese un paio che sono nate dalla penna non di Cancogni, ma di Garboli e Brandi. A leggerle adesso, queste pagine non solo non hanno perduto nulla della loro freschezza e originalità, ma nel loro insieme ci mostrano in modo straordinario alcuni dei caratteri, storici e immutabili, dell’essere italiani e permettono di comprendere meglio, spesso con un sorriso, da dove arriva molto di ciò che ci troviamo a vivere oggi.