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Questo saggio di Bhimrao Ramji Ambedkar, filosofo buddhista e rivoluzionario indiano, fu l’ultimo scritto di uno dei leader politici più influenti del Novecento. Ambedkar provò qui a definire le sorprendenti assonanze tra buddhismo e marxismo: la lotta contro la proprietà privata e l’accumulo di denaro; la volontà di trasformare il mondo; la battaglia in favore dei più deboli. Certamente Buddha non parlava soltanto di possedimenti terreni, mentre Marx si concentrava su chi detiene i mezzi di produzione, ma un interrogativo essenziale unisce questi due grandi pensatori della storia dell’umanità: come sarebbe la comunità umana se fosse libera dagli sfruttamenti, dai soprusi, dalla cupidigia? Lungo le rotte di queste inconsuete congiunzioni, il pensatore indiano approda a un’inattesa conclusione: la religione (nella forma del buddhismo) dovrà essere l’esito felice della rivoluzione marxista.

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Sull'autore

Bhimrao Ramji Ambedkar

Nato a Mhow Cantonment, in India, nel 1891, è stato un politico, filosofo, giurista, attivista buddhista, oratore, scrittore prolifico, economista e rivoluzionario. Con vari dottorati in Legge, Economia e Scienze politiche, sia alla Columbia University sia alla London School of Economics, è considerato il “padre della Costituzione indiana”. Lottò tutta la vita contro le discriminazioni sociali, in particolare contro il sistema delle caste. Morì a Delhi nel 1956. Nel 1990 gli fu assegnato postumo il premio Bharat Ratna, la più alta onorificenza indiana.

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